p.1
p.2
p.3
1
Philosophiren ist vivificiren..
NOVALIS
Molti buoni storici affermano, con una concordia che non manca di meravigliarmi, che nell'anno di grazia 1452, nasceva, nel borghetto di Vinci, un fanciullo che portò il bel nome di Leonardo e sparse gran fama di sè nelle belle terre d'Italia e in quelle de' barbari. E narrano, i buoni storici, com'egli fosse condotto in Firenze, e come entrasse nella bottega di Andrea Cione del Verrocchio, e come incominciasse a dipingere mirabili opere, e se n'andasse alla corte del Moro, e tante altre innumerevoli cose che voi sapete con certezza assai meglio di me, o che potete apprendere nei detti storici, incominciando dal buon anonimo Gaddiano e dal felice Vasari, famoso egualmente per i suoi strafalcioni e i suoi orribili affreschi e tenendo giù fino agli ultimi narratori delle cose del Vinci, ch'io non vi cito neppure per non sembrarvi troppo erudito.
Quello però ch'io debbo dirvi per debito di coscienza si è che il mio Leonardo non è quello degli storici. Il Leonardo di Ser Piero da Vinci, che trascorse la sua vita mortale del 1452 al 1519, io lo lascio di buona voglia a tutti quegli onesti uomini che van cercando la verità nella storia e giurano volentieri in verba documentorum.
Per il mio uso personale, e per certe mie convenienze interne ch'io non starò a confessare, ho trovato assai più comodo fabbricarmi un mio Leonardo che accettare quello che mi offrono i libri e le carte. Essendo mia creazione, da padre che conosce i suoi doveri, io lo amo infinitamente di più e la sua compnia mi è estremamente gradita.
Io non voglio dire con questo che il Leonardo degli storici sia da gettare in disparte: io sarei ben tormentato per trovare un altro uomo che fosse così simpatico come lui. Se io avessi avuta la ventura di essergli contemporaneo non avrei avuta nessuna difficoltà a farne il mio migliore amico. E poichè egli amava gli spiriti che cercano, forse m'avrebbe condotto seco in qualcuna di quelle pensose passeggiate ch'egli doveva fare così spesso tra que' chiari colli toscani, che allietano ancora col loro azzurro impallidito le sue tele divine. Ed egli mi avrebbe parlato colla sua bella voce di buon dicitore, delle sue ricerche d'anatomia e delle sue belle fantasie architettoniche e forse un giorno m'avrebbe condotto inverso il nudo monte Ceceri, donde egli volea volare verso Firenze su una macchina misteriosa di sua invenzione. Ed io, riguardando i voli degli uccelli che m'avrebbe segnato col dito nel mio bel cielo fiorentino, gli avrei dette alcune delle sottigliezze alessandrine ch'io sarei andato imparando presso un condiscepolo del Ficino.
Ma i tempi son cangiati oltremodo e noi viviamo oggi così in preda al progresso chè sarebbe pazzia insigne rimpiangere la sanguinosa e incivile età della Rinascenza. Nelle vie di Firenze, ingombre di biciclette e d'immondi veicoli, non c'è più modo ormai di filare tranquillamente un sillogismo e di godere in silenzio del fuoco del tramonto sui bei palazzi accigliati.
Il bel Leonardo del quattrocento, colle sue vesti graziose e i suoi sogni troppo grandi, non sarebbe più a suo posto in quella Milano a cui fece dono di tante dolci figure e che oggi, troppo preoccupata dall'esportazione delle cotonine e dalle elezioni comunali, non avrebbe troppa cura di lui. Perché Leonardo possa vivere ancora tra noi ed essere qualcosa di più che un soggetto dì tesi e di proiezioni, bisogna ch'egli si trasformi, ch'egli divenga interiore. E questo ho tentato.
Nell'uomo di Vinci, quale i ricordi e gli scritti suoi ce lo fanno apparire, vi sono certi lati che non si addicono alla mia anima. Egli è ad esempio, un pò troppo invasato della mania scientifica. I suoi piccoli libri son troppo pieni di osservazioni e di piccoli fatti sembra quasi che questo figlio e nipote di notai voglia, per una derivazione d'atavismo, intraprender l'inventario dei mondo. La smania di conoscere il particolare, che ha istupidito tanta parte delle
2
ultime generazioni, s'era troppo impossessata di lui: in un certo senso, e mi dispiace sinceramente di calunniarlo fino a questo punto, ha l'aria di un positivista anticipato. Osservate infatti ch'egli è in grande odore di santità presso i nostri scienziati e non passa un pò di tempo senza che qualcuno di quei signori non lo renda responsabile di qualche scienza e non gli sciolga un inno un pò rancido come a padre e maestro del metodo sperimentale.
Io non nego che in tuttociò non ci sia dell'esagerazione e sono inclinato a credere che il buon Leonardo fosse molto meno positivista di quello che vorrebbero farci credere, e certe sue concezioni cosmologiche, che odorano terribilmente di animismo e di antropo¬centrismo, potrebbero darmi ragione, ma bisogna sempre riconoscere che in gran parte il battesimo scientifico non è dato fuor di luogo e ch'egli è, in fondo, più scienziato che artista, il che non son capace di perdonargli. Pensate un momento ch'egli considerava la stessa pittura, nella quale ha pur versato tanto tesoro di sogno, se non come una forma della scienza, destinata a riprodurre, colla piú scrupolosa fedeltà, gli aspetti delle cose della Natura! Tutti i suoi studi anche quelli che sembrano preparazione a opere d'arte, convergevano in fondo alla completa conoscenza del mondo e questa sua preoccupazione perpetua che gli procaccia gli osanna degli apologisti della scienza è fatta per allontanare un poco un amante del puro sogno, dell'irrealità estetica e metafisica, quale ho l'onore di essere. Se egli fosse stato più filosofo che artista io gli avrei di buon grado perdonato - anzi, diciamo di più, l'avrei addirittura lodato e senza restrizioni. Ma la sua filosofia, bisogna confessarlo, non è gran cosa e la parte più profonda si riduce alla sua idea del mondo animato, ch'egli ha tolto dai greci, ma che è contraddetta dagli attacchi che rivolge agli speculatori le cui ragioni non son confortate dall'esperienza. Ora un uomo il quale non è giunto a quella sommità aristocratica che considera le idee di per sè stesse, come giuoco sovrano, senza pensare minimamente alla loro concordia col reale, è un uomo che ha bisogno ancora d'esser perfezionato.
E i delicati amatori di strane anime, che hanno ammesso, come Walter Pater, il prodigio di Vinci, nel loro intimo cenacolo di spiriti magni, non hanno forse pensato che quell'uomo era un pò troppo inclinato alle cose pratiche e materiali. Molte delle sue ricerche eran volte a trovare macchine e apparecchi per far canali o cateratte, per ritrovar congegni atti a uccidere o a difendere, o per inventare veicoli meravigliosi. Egli ripete sempre che occorre pensare alla pratica, a «giovamenti» e per quanto gli piaccia il conoscere anche per sè stesso, nonostante io lo sospetto di aver fatte esperienze per soli fini pratici. E certe volte io provo un po' di malinconia pensando che colui che ci donò la Gioconda è anche celebre per i canali di Lombardia.
Con queste parole io debbo darvi l'idea di un uomo terribilmente ristretto, che non sa pregiare la meravigliosa universalità del genio. S'io avessi tempo da perdere potrei rispondere che anche qui il problema si riduce a quello di quantità e di qualità. A me non importa il numero di cose che un uomo ha fatte, ma la qualità delle cose fatte. Se Leonardo avesse fatto un quadro di più e cento osservazioni di meno io sarei molto felice e rinunzierei volentieri a quella lode d'universalità che gli vien così prodigata da chí non sa cosa dire. Per fare dell'osservazioni e dei piani di fortezze son capaci perfino gli scienziati e gli ingegneri dè nostri giorni - ma per fare certi sfondi alpestri e scrivere certi pensieri non c'era che un uomo, ed è triste ricordare che parte del suo tempo è stato impiegato in cose ch'erano inferiori alla sua potenza.
Cosi io rimpiango pure i suoi contatti troppo prolungati cogli uomini, e le ore ch'egli ha perduto nulle corti di Milano e di Francia a far dello spirito colle dame e co' principi. Egli era, ci dicono gli storici, piacevolissimo conversatore e noi sappiamo che quelle profezie che credemmo talvolta pregne di occulti significati, non erano che indovinelli, raccolti per aguzzare l'ingegno dei cortigiani. Io non so figurarmi il mio Leonardo, colui che ha fatto l'elogio più profondo della solitudine, che sta narrando facezie in un crocchio di gentiluomini e di gentildonne. Le ore mondane del Leonardo storico io le ho cacciate dalla bella biografia spirituale del mio Leonardo, ponendo al loro posto alcune belle ascensioni di montagne, in cerca di fiori selvaggi e di voli d'aquile regie.
È tempo veramente che vi parli di lui e vi dica il suo segreto.
Il mio Leonardo non s'è spento, come quello degli storici, nel malinconico castello di Cloux presso Amboise, il due di maggio del 1519. Egli è ancor vivo e ben vivo — è dentro di me, è una parte di me stesso, un prezioso frammento del mio spirito.
Egli abita ancora nella sua bella Italia e m'empie ancora di ondeggianti meditazioni in questa dolce primavera fiorentina. Egli ripete ancora alcuna delle sue parole più profonde e mi aiuta a suggere tutta la meraviglia di certi tramonti. Nel bel pantheon in cui ho trasformato la mia anima egli è uno dei genii più animatori e de' semidei più adorati. La sua immagine, allato a quella del suo giovine fratello Percy Bysshe Shelley, e di fronte a quella dell'apollineo Goethe, pensoso di grazie lontane, illumina la corrente dei miei pensieri e illegiadrisce le tele de' miei instancabili sogni.
Coloro che, incapaci di ogni conquista, considerano i grandi come qualcosa di esteriore, d'indipendente da loro, grideranno al sacrilegio e faranno le grandi meraviglie di questo adattamento di un grande alle comodità spirituali di un'anima oscura. Ed io lascerò alla loro stridula meraviglia quelli che non hanno compreso come i grandi del passato non possano essere che strumenti del presente — temi su cui svolgere una vita personale — frammenti di storia in cui ritroviamo noi stessi, in cui ci addestriamo a dividerci, — cadaveri che noi vivifichiamo. O noi ci contentiamo di conoscer de' grandi solo le vicende esteriori, le orme della vita comune, la lista delle loro opere, i segni del loro spirito e allora noi facciamo dell'erudizione, ci avviciniamo al tempio senza pregare, ci accostiamo al pomarío senza gustar dei frutti — oppure noi vogliamo conoscere realmente e profondamente i grandi passati e allora dobbiamo farne una parte viva di noi, un nostro strumento di gioia, e adattarli, per salvarne la parte più preziosa, a rivivere in noi. Un grand'uomo è conoscibile o sotto forma di documenti e di parole morte o sotto forma di sentimenti individuali, e presenti e soltanto i poveri e i paurosi prescelgono il primo modo.
Così io ho creato, con alcuni materiali della storia, il mio bel Leonardo vivente, che più dell'antico risponde alle tendenze più profonde della mia vita.
Questo secondo Leonardo non è, come l'altro, nè un puro scienziato, nè un puro artista e tanto meno un ingegnere o un uomo di corte. Egli è il tipo completo dell'uomo interiore, che non vuol mostrarsi, come l'albero, troppo carico di frutti perchè gli ingordi uomini non lo rovinino — che ama l'opera solitaria e si sente diminuito dagli uomini — che conosce la potenza del silenzio e aduna per sè, senza degnarsi di gettare in mezzo alle turbe il tesoro dei suoi pensieri. È un uomo che ha pensato più di tutti i suoi contemporanei e che non ha pubblicato neppure un libro — che ha concepito, nella fantasia dalle grandi ali, le più belle visioni, i più soavi e suggestivi volti, e che non ha lasciato agli uomini che scarse e incerte cose — colui ch'era poeta profondo e sottile, e in piena Italia, nel secolo decimosesto, ha avuto l'eroismo di non scrivere un verso. In una parola egli è di quei rari uomini che bastano a sè stessi — che non cercano occuparsi degli altri — e non fanno penetrare nella loro anima, chiusa e forte come una lorica, che qualche raro spirito vicino.
Egli è, per dirvi interamente il suo segreto, un asceta pano — un mistico purificato, che ha preso, per salire al sommo dell'estasi intellettuale, le due grandi vie dell'arte e della conoscenza. I suoi quadri non erano che ricordi di belle visioni che egli voleva fissar coi colori per salire ancora più in alto — tutte le sue osservazioni e le sue speculazioni non erano che tentativi onde penetrare ne' più riposti secreti della vita e della natura, per sorprendere in tutte le membra del mondo il battito di quella gran vita umana ch'egli intravedeva, e quietare così il desiderio, perpetuo assillo, degli animi incompleti. Tutte le sue creazioni di bellezza e di pensiero son dunque operazioni mistiche - tanti gradi ch'egli sceglieva, al di fuori dei sacri gradini di Plotino o di Ugo da S. Vittore, per ascendere a quello stato divino in cui ogni ombra viene illuminata e ogni piccolezza bandita. Stato supremo che soltanto pochi santi, pochi artisti e pochi filosofi, hanno potuto raggiungere attraverso gli sforzi tenaci della sublimazione interna.
3
Come tutti i grandi anche il mio Leonardo tende a fare della sua vita il suo capolavoro e le sue creazioni non sono che vestigia del suo cammino, pietre che il maestro gettò per segnare la sua strada e che i posteri hanno preso per metà delle sue fatiche.
Ben altro volgeva in mente il miracoloso evocatore e se la sua conquista mistica non fu perfetta, se egli non giunse, nella sua vita storica, alla cima che sovrasta ogni cima, egli più presso al segno nella sua vita seconda.
In questo momento epico dello spirito, in cui un gran rivolgimento di pensiero è imminente, egli rappresenta in me lo sforzo della vita personale, l'uomo che tende a possedere veramente sè stesso e perciò fa che il mondo diventi suo per mezzo di immagini e di pensieri. ll monito di Ibsen: - siate voi stessi - è ridicolo ognuno, lo voglia o no, è sè stesso, e se egli segue gli altri, significa che l'istinto d'imitazione è parte di lui. Leonardo da Vinci ci dà non un monito, ma qualcosa di più: un esempio. L'esempio glorioso di una vita bella, ricca e segreta, che tende ad ogni istante a superar sè stessa, a divenir più profonda, più individuale e più spirituale.
In nome di questo amante delle belle forme, che nascose i suoi amori e le sue scoperte, noi possiamo annunciare la nuova età dello spirito, che altri pochi fratelli van preparando nel mondo. Al di sopra della vita comune, al di fuori della torma di coloro che non odono, al di là della breve cerchia fumigante ove gli uomini cercano le forze della vita, noi tendiamo come fiamme le nostre anime verso il Signore dell'ombre e de' sorrisi!
◄ Fascicolo 8
◄ Giovanni Papini